Mostra Itinerante

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"I Beni bibliografico-musicali in Calabria"

La Mostra I Beni bibliografico-musicali in Calabria, si propone di fare capire che anche la nostra regione, nonostante le varie calamità naturali e le tormentate vicende storiche che l’hanno vista sempre come terra di transito, presenta, in misura insospettata, testimonianze di attività musicali del passato.
Il percorso espositivo, che privilegia il materiale più rilevante sia per valore storico sia per bellezza grafica, apre con alcuni esempi che documentano l’attività di alcuni centri di scrittura greco-bizantina in Calabria, fra cui una pergamena custodita a Reggio Calabria, frammento di un evangeliario con notazione ecfonetica del XII secolo, per giungere, come limite estremo, ai manoscritti di musica per banda del XX secolo: un arco storico amplissimo all’interno del quale il materiale iconografico è ordinato ora sulla base dell’affinità, come nel caso dei codici liturgici, ora con riferimento alla genesi ed alle caratteristiche di un particolare fondo bibliografico, come nel caso della collezione Creazzo di Cinquefrondi o della raccolta di Armando Muti.
La Calabria medievale conobbe numerose dominazioni, che hanno lasciato traccia del loro passaggio anche nel canto sacro. Ne sono testimoni i vari codici liturgico-musicali disseminati su tutto il territorio regionale in una miriade di piccoli archivi spesso anche mal custoditi.

Gran parte di tali codici, man mano che, per vari motivi, non erano più idonei alle necessità per le quali furono confezionati, incominciarono ad essere distrutti o riciclati prevalentemente come cartelle di protocolli notarili. Ed è proprio grazie a tale loro nuova funzione che, seppure smembrati, molti frammenti sono oggi recuperabili per lo più presso gli archivi di stato. Grazie alla disponibilità e collaborazione degli archivisti, stiamo recuperando fogli di pergamene musicali di notevole interesse, dal momento che spesso si tratta di frammenti di codici più antichi e che quindi ci consentono di indagare sulle tradizioni musicali più remote della nostra regione.


I codici calabresi sono prevalentemente in notazione quadrata, salvo alcuni frammenti in notazione neumatica o in notazione ecfonetica, preziosi esempi, questi ultimi, della tradizione liturgica greco-bizantina, che in vari centri calabresi rimase viva fino al Cinquecento. I pochi frammenti in notazione neumatica che si conoscono non risultano redatte in Calabria: non abbiamo ancora trovato tracce della ben nota e notevole attività codicologica di Gioacchino da Fiore e dei suoi seguaci, che certamente hanno redatto anche codici musicali. Ampiamente documentata è invece la redazione di codici musicali in notazione quadrata presso i principali conventi francescani e domenicani della nostra regione. È quanto emerge dalla sezione della mostra dedicata ai colophon, alcuni dei quali hanno anche un grande valore storico, come, per esempio, il colophon di uno dei codici di Gerace, che documenta il passaggio dal rito greco-bizantino a quello romano imposto, in quella diocesi, da Atanasio Calceopilo nel 1480.


La redazione di manoscritti liturgico-musicali continuò anche nei secoli successivi all’invenzione della stampa per venire incontro a particolari esigenze liturgiche locali o di ordini religiosi (lo dimostrano, per esempio, i codici dell’Abbazia di San Giovanni in Fiore che risalgono alla seconda metà del Settecento) o di chiese cattedrali (come, per esempio, il Liber Choralis, redatto nel 1836 da Gaetano Algaria, canonico cantore della cattedrale di Cassano.


La sezione della mostra dedicata al fondo Carlo Creazzo della Mediateca comunale di Cinquefrondi documenta la presenza in Calabria di uno dei fondi più ricchi sia di musica del Settecento che di musica d’autori locali. Vi si trova, per esempio, musica del marchese Pasquale Caracciolo, o scritta esplicitamente per i Caracciolo di Arena o per i Milano di Polistena, che Carlo Creazzo ha rinvenuto a Cinquefrondi presso una fabbrica di fuochi d’artificio. Ma è presente anche molta musica sacra scritta da autori locali per specifiche ricorrenze, oltre a numerosi brani di Francesco Cilea, di Francesco Florimo, di Achille e Raffaele Longo, di Vincenzo Scordo, di Manfroce, dei Creazzo, di Giuseppe Muratori (autore anche di un Miserere a più voci e di varie canzoncine per le festività locali), di Francesco Careri, di Giuseppe Grassi (autore, tra l’altro, di un Dialogo da eseguirsi nella Città di Palmi in occasione della festa della Vergine dell’Assunta celebrata nel dì 15 agosto 1834). Grazie a tale fondo è, quindi, possibile avere un’idea nuova sia sulle attività musicali presso le corti dei principi calabresi che presso le chiese e i santuari della Piana di Gioia Tauro.


Tra i fondi musicali più recenti, ma non per questo meno interessanti e meritevoli di tutela, oltre quello già citato di Armando Muti – un ricco repertorio di canti popolari di area cosentina – vi sono gli archivi bandistici. Da una ricerca condotta alla fine dell’Ottocento dal Ministero degli Interni sappiamo che in quel periodo in Calabria esistevano circa novanta bande musicali, alcune di “giro”, costituite da musicisti che si spostavano da una località all’altra assicurando un adeguato sostegno musicale alle feste patronali dei vari paesi; altre, i “Concerti municipali”, prevalentemente, stabili e costituite da un numero maggiore di bandisti.


Uno dei più cospicui archivi bandistici esistenti in Calabria è quello della Banda Comunale di Reggio, complesso fondato all’indomani dell’Unità d’Italia, che raggiunse il periodo di massimo splendore nei primi decenni del Novecento, quando, sotto la guida di esperti direttori, tra cui Vito Fedeli, Agoardo Bernabei, Cesare Perotti e Giuseppe Musotto, rinnovò il suo organico alla luce della riforma di Alessandro Vessella e conseguì, nel 1922, il secondo premio nel concorso organizzato a Roma dall’Associazione della Stampa Periodica. In repertorio aveva, accanto a marce ed altre composizioni occasionali, numerose trascrizioni operistiche di compositori italiani e stranieri. Tra i non pochi meriti dell’attività bandistica è da ascrivere, infatti, la divulgazione in Italia delle opere di Wagner.



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